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La formazione dei diamanti

lunedì 6 dicembre 2010

È grazie alla particolare geometria dei suoi giacimenti, che il mercato dei diamanti ha potuto essere così facilmente controllato. Infatti i giacimenti primari di diamanti sono molto piccoli e assolutamente verticali, con una produttività estremamente costante in tutta la massa della roccia scavata e con una durata della vita di una miniera estremamente lunga. Qualunque altro giacimento è soggetto ai capricci della geologia, all’incostanza dei filoni produttivi o alla geometria spesso molto estesa nel sottosuolo, che non di rado passa frontiere nazionali.

I giacimenti di diamanti sono tutti uguali, si tratta di camini verticali di 1-2 km di diametro al massimo (il camino A154N di Diavik ha solo 100 m di diametro), che contengono una roccia particolare detta kimberlite. In questa roccia i diamanti sono disseminati con una densità che può raggiungere i 5 carati per tonnellata (Diavik), cioè circa 11 carati per metro cubo! Comparato con altre gemme di minor pregio, è moltissimo.

I camini kimberlitici si formano durante particolari eruzioni. Infatti i diamanti sono stabili nel mantello terrestre a profondità di circa 200 km. E a quelle profondità sono decisamente abbondanti, ma nessuna tecnologia è attualmente in grado di raggiungere quelle profondità. Per fortuna c’è un tipo di eruzioni che porta direttamente i diamanti in superficie senza soste intermedie: le eruzioni kimberlitiche.

Carbonio nel mantello
A differenza di quanto si possa immaginare, specialmente da quanto viene fatto vedere in numerosi film, all’interno della terra non c’è magma. C’è roccia ad alta temperatura, che grazie alle alte pressioni dovute alla profondità, si trova allo stato solido. La formazione di magma è un fenomeno localizzato a certi contesti. Poiché la presenza di acqua funge da bassofondente, se immettiamo acqua a grandi profondità, possiamo creare una fusione localizzata della roccia che forma una camera magmatica.

Nelle zone di subduzione, dove una placca di crosta oceanica affonda sotto un’altra placca, questa si trascina dietro tutti i sedimenti marini ricchi d’acqua che si trovano sul fondo dell’oceano. Quando quest’acqua intrappolata nelle rocce raggiunge una profondità attorno ai 200 km, si avrà fusione e la formazione di camere magmatiche.

A parità di peso, il magma ha volume maggiore della roccia e quindi è più leggero. In condizioni tettoniche distensive, cioè laddove la crosta si stira e si frattura, il magma può risalire e dare origine ad una eruzione. Una volta formata una camera magmatica, inoltre, i gas disciolti nel magma possono separarsi e migrare verso l’alto. Questi gas avranno un ruolo determinante nel creare un eccesso di pressione e nel drenare l’eruzione verso la superficie.

A differenza delle eruzioni vulcaniche normali dove il gas prevalente è acqua, nel caso delle kimberliti, il gas dominante è l’anidride carbonica (CO2). La CO2 funge da bassofondente esattamente come l’acqua. La presenza anomala di carbonio (C) nel mantello è sia responsabile della presenza dei diamanti (carbonio cristallino) che dell’eccesso di CO2. L’origine del carbonio nel mantello sembra sia da imputare a metano (CH4) che viene trasportato in profondità, esattamente come l’acqua, dai fondali oceanici in subduzione.

Il metano abbonda in alcuni fondali oceanici sotto forma di gas idrati. Dove la pressione idrostatica è sufficientemente alta (oltre 500 m di profondità) e la temperatura dell’acqua sufficientemente bassa, il metano può congelare sotto forma di gas idrato. Si tratta di una forma di solido cristallino simile al ghiaccio dove la molecola di metano è circondata da molecole d’acqua. In questa maniera il metano viene facilmente intrappolato nei sedimenti ed è possibile che questo metano sia stato coinvolto in fenomeni di subduzione e trasportato in profondità in zone del mantello subcrostale. Inoltre, l’età dei diamanti è in genere molto antica (Archeano) e si sa che all’epoca, l’atmosfera terrestre conteneva molto più metano di oggi e ancora non era apparso l’ossigeno.

A complicare le cose c’è inoltre il fatto che il magma kimberlitico è generalmente più profondo della zona dove si trovano i diamanti. La kimberlite, passando attraverso la zona diamantifera, strappa frammenti delle rocce diamantifere, dette xenoliti, e le trasporta in superficie. La kimberlite quindi è solo il meccanismo di trasporto dei diamanti.

Le principali rocce che contengono diamanti sono la peridotite e l’eclogite. La peridotite (harzburgite) è una porzione del mantello nelle sue condizioni di equilibrio per pressione e temperatura. Invece l’eclogite è una parte della zolla oceanica subdotta che si trova in condizioni di instabilità.

L’eruzione kimberlitica
I magmi normali si fermano più volte durante la loro risalita dal mantello in camere magmatiche di passaggio e quindi le loro eruzioni hanno in genere origine da camere magmatiche superficiali, situate a profondità dell’ordine di 2 km o poco più. Le eruzioni kimberlitiche invece si innescano direttamente in profondità, a circa 200 km, e raggiungono la superficie in tempi brevissimi, senza soste. Si stima che l’eruzione, senza segnali premonitori, si possa concludere nell’arco di un’ora. È anche per questo che i diamanti non si riequilibrano durante la risalita, pur essendo instabili in superficie. Se restassero per molto tempo a basse profondità dove si hanno basse pressioni, ma alte temperature, probabilmente si riequilibrerebbero, trasformandosi in grafite.

Per avere una eruzione servono due condizioni fondamentali: la presenza di una camera magmatica e l’apertura di una frattura crostale. Il magma ricco in CO2, si insinua nella frattura crostale ed esercita una spinta verso l’alto. L’aumento di volume dei gas, aumenta il volume del magma e di conseguenza la spinta verso l’alto, favorendo l’apertura della frattura. Durante la risalita il magma strappa frammenti di roccia, detti xenoliti, dalle pareti della frattura per farsi strada.

Quando è vicino alla superficie (circa 800 m), il magma si separa dal gas (livello di frammentazione) e comincia la fase esplosiva dove la miscela di gas e frammenti lavici può raggiungere i 600 m/s, cioè circa 2000 km/h. In questa fase la miscela di frammenti magmatici e gas è estremamente erosiva e forma un camino con un diametro generalmente dell’ordine di un centinaio di metri. Vicino alla superficie, l’esplosione che fino a quel momento era direzionata verso l’alto, trova spazio per espandersi anche lateralmente e scava il cratere che può essere dell’ordine di 1 km di diametro e 200 m di profondità. Il riempimento del camino e del cratere rappresenta essenzialmente il giacimento. Eruzioni kimberlitiche non sono mai state osservate e quindi è difficile stabilire il tipo di eruzione. Attorno al cratere si trova un piccolo e basso cono di scorie che fa pensare a una fase esplosiva in superficie piuttosto violenta.

Dopo l’eruzione avremo una roccia tufacea composta di kimberlite brecciata che riempie il cratere e la parte superficiale del camino. Più in basso, la breccia che riempie il condotto è saldata, grazie alle alte temperature che si mantengono all’interno del camino dopo che l’eruzione è terminata. Ancora più in profondità, in genere tra 600 m e 2 km, il camino lascia posto a un sistema di dicchi di 5-20 m di diametro, che sono riempiti di kimberlite non frammentata. Questi dicchi arrivano fino alla camera magmatica, cioè a 150-250 km di profondità.

Le età dei camini kimberlitici variano dal precambriano all’eocene (da 1600 a 50 milioni di anni fa) in varie fasi parzialmente correlabili tra Sud Africa, Siberia, Australia e Canada. Sembra che le fasi di maggiore concentrazione di eventi kimberlitici siano grossomodo in correlazione con le fasi di maggiore frammentazione e rifting del supercontinente Gondwana. Allo stesso modo un lungo periodo di stasi tra 250 e 360 Ma, dal devoniano al permiano, corrisponde ad una relativa stabilità del supercontinente. Anche se l’età delle eruzioni varia, la maggior parte delle età di formazione dei diamanti sono molto antiche, per la maggior parte concentrate tra 3,2 e 2,9 miliardi di anni. Questo fa pensare ad un unico evento generalizzato, responsabile della formazione dei diamanti in una area situata nel mantello superiore al di sotto di un vasto blocco cratonico. Successivamente questo cratone si sarebbe frammentato e dislocato.

Recentemente un gruppo di studiosi tedeschi ha scoperto diamanti con una età di 4,3 miliardi di anni in rocce dell’Australia occidentale. La terra si pensa che abbia 4,5 miliardi di anni e i meccanismi genetici ipotizzati per la formazione del diamante fanno supporre l’esistenza di una crosta continentale spessa e ben sviluppata, cosa che avrebbe dovuto tardare per lo meno un miliardo di anni. Questa nuova scoperta mette in dubbio tutto, sia le prime fasi della storia della terra come le immaginiamo oggi, sia la stessa origine dei diamanti.

Molti studi serviranno per chiarire la genesi dei diamanti, anche perché la maggior parte dei dati prodotti dalle compagnie minerarie sono rimaste per anni segrete. La recente liberalizzazione del mercato sicuramente avrà come conseguenza una maggiore trasparenza e verosimilmente una migliore comprensione dell’affascinante origine di queste pietre.

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Francesco Belloni

Fonte: Article-Marketing.it

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